sabato 30 giugno 2007

OPERAZIONI NEL GOLFO PERSICO

OPERAZIONE UNYOM
Il 27 settembre 1962, un gruppo di nazionalisti arabi, ispirati alla Repubblica Araba Unita e guidati da colui che sarebbe diventato il primo presidente della Repubblica Araba dello Yemen, Gamal Abdul Nasser, occuparono la Capitale dello Yemen, Sana, e fecero abdicare il sovrano: Re Muhammad Al Badr, dando vita alla Repubblica Araba dello Yemen. Questo colpo di stato, segnò l’inizio di una guerra civile che durò fino al 1967 e che vide la Repubblica Araba Unita (situata nell’Egitto di allora), prendere le difese della neonata repubblica; mentre a favore del vecchio stato monarchico vi erano l’Arabia Saudita e la Giordania. Nel 1967, con il ritiro delle truppe egiziane, il conflitto ebbe fine e l’anno successivo vide la fine dell’insediamento a Sana della famiglia reale, con la seguente riconciliazione delle fazioni oppositrici. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Thant, intraprese un’iniziativa di pace, che condusse all’istituzione della missione di osservazione denominata United Nations Yemen Osbservation Mission (UNYOM). In un rapporto datato 29 aprile 1963, il Segretario Generale aveva dichiarato che, dall’autunno 1962, stava consultandosi regolarmente con i Rappresentanti dei Governi della Repubblica Araba dello Yemen, dell’Arabia Saudita e della Repubblica Araba Unita, circa “determinate attività nello Yemen di origine esterna” e “per accertarsi di tutti gli sviluppi della situazione che potrebbero minacciare la pace della zona”. Fu incaricato Ralph Bunche, Sottosegretario per gli Affari Politici Speciali, di intraprendere una missione esplorativa nella Repubblica Araba, nello Yemen e in Arabia Saudita. Come conseguenza delle attività effettuate, Ralph Bunche, assieme a Carbonile Ellsworth, inviato dal Governo degli Stati Uniti su una missione in qualche modo simile ma disgiunta, aveva ricevuto da ciascuno dei tre Governi la conferma del disimpegno dello Yemen. In base ad accordi stipulati, l’Arabia Saudita doveva interrompere gli aiuti militari alle truppe yemenite fedeli alla monarchia e non attraversare una zona demilitarizzata che correva lungo il confine tra i due Paesi, in cui erano presenti gli Osservatori. L’Egitto, dal canto suo, aveva l’obbligo di ritirare immediatamente, tutte le sue forze di occupazione, piano da attuare il prima possibile. In un rapporto datato 27 maggio 1963, il Generale von Horn, Comandante della Missione di Osservazione UNTSO, inviato nello Yemen per valutare la situazione, stabilì che la forza ONU non dovesse superare le 200 Unità, che il personale inviato fosse disarmato, che l’uso della forza era da utilizzarsi solo in casi di strettissima necessità e per autodifesa e che la durata complessiva di UNYOM non dovesse superare i quattro mesi. Fu così che l’11 giugno 1963, con la Risoluzione n° 179, il Segretario Generale delle Nazioni Unite stabiliva il funzionamento della Missione d’Osservazione UNYOM, non ponendo però limiti all’operazione, affermando che poteva estenderne il mandato senza una decisione del Consiglio di Sicurezza. Veniva designato quale Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite e Capo della Missione, per tutto il periodo di operazioni, l’Italiano Pierpaolo Spinelli.Nella fase iniziale, UNYOM si è composta principalmente di sei Osservatori Militari, un’Unità Terrestre di 114 elementi con lo scopo di assicurare la protezione al personale ONU e 50 Piloti il cui compito era quello di organizzare voli di ricognizione aerea. La composizione della Missione è rimasto pressoché invariato fino al novembre 1963, quando in tale data è stata intrapresa una drastica diminuzione del personale, tanto da arrivare a schierare solo 25 Osservatori Militari, appoggiati da due velivoli di stanza a El Arish. Scopo principale della missione era quello di sorvegliare il cessate il fuoco tra le fazioni in lotta; certificare la conclusione del supporto militare dell’Arabia Saudita alle truppe reali yemenite; l’avvenuto ritiro dell’Egitto. Altro compito principale, era cercare di mettere fine ai vari attriti dei partiti religioni dello Yemen, per evitare lo scoppio di una nuova guerra civile che avrebbe causato molti più morti di quella appena conclusa. Ma fin dell’inizio della missione, Pierpaolo Spinelli sottolineò al Segretario Generale la cattiva riuscita della missione, sia per l’estrema esiguità delle forze in campo, sia per gli ordini volutamente ignorati dalle forze in campo. Fu così che il 4 settembre 1964, le attività di UNYOM si conclusero ed i relativi personali ed attrezzature furono rimpatriati.
OPERAZIONE GOLFO 1
Il Golfo Persico era diventato la frontiera marittima del sanguinoso conflitto che dal 1980 opponeva Iraq ed Iran. In questo scenario turbolento prendevano forma episodi di terrorismo internazionale, culminati nell’ottobre 1985 nel sequestro della Turbonave Achille Lauro ad opera di un gruppo palestinese. L’immediata mobilitazione del dispositivo aeronavale nazionale (Operazione Margherita) servì a verificarne il grado di prontezza reattiva e la vicenda, pur concludendosi senza dover ricorrere a un’azione militare, servì a mettere in luce qualche lacuna soprattutto nella fase di localizzazione dell’obiettivo, evidenziando la necessità di una più efficace componente aerea per il pattugliamento marittimo a largo raggio. Lo stato di latente tensione, aggravato dall’episodio dell'Achille Lauro, sfociò l’anno seguente nel confronto fra Stati Uniti e Libia e nella successiva ritorsione operata dal Governo di Tripoli con l’attacco missilistico contro una stazione gestita dagli Stati Uniti sull’Isola di Lampedusa (15 aprile 1986). Anche in tale occasione la Marina divenne il fulcro di un dispositivo (Operazione Girasole) mirato soprattutto ad estendere quanto più possibile verso sud la sorveglianza antiaerea ed antimissile (obiettivo raggiunto col rischieramento nel Canale di Sicilia di naviglio d'altura con funzioni di picchetto radar), oltre che a manifestare apertamente la volontà nazionale di difesa contro aggressioni ingiustificate. Il complesso aeronavale italiano si venne così a trovare in prima linea sulla frontiera marittima del fianco sud della NATO, in una situazione dove veniva messa in gioco la sicurezza del territorio nazionale. Il dibattito che ne seguì rese evidente all’opinione pubblica la scarsa efficacia delle rete di allarme radar e la mancanza di una qualsiasi forma di difesa contro attacchi missilistici, confermando le difficoltà in cui erano costrette ad operare le Forze Armate. Dopo circa otto anni di guerra dimenticata, il Golfo Persico balzò alla ribalta dell’opinione pubblica mondiale nel 1984, quando Iran ed Iraq decisero di estendere le ostilità al traffico marittimo commerciale. Da quel momento si assistette ad una drammatica escalation del conflitto che finì con l’abbracciare praticamente tutto il bacino, dallo Shatt El Arab al Golfo di Oman, coinvolgendo anche navi appartenenti a nazioni neutrali. L’attacco contro la Fregata americana Stark (maggio 1987) e la richiesta kuwaitiana agli USA per la protezione delle petroliere battenti la bandiera dell’Emirato portarono all’intervento dell’US Navy e della Marina Britannica, in risposta alle preoccupazioni dei rispettivi paesi per le conseguenze di un possibile blocco generale dei traffici petroliferi. L’invito rivolto successivamente dagli Stati Uniti ad altre nazioni per una presenza più sostanziale e diretta nel Golfo era ampia mente motivato dal fatto che i principali alleati europei ed asiatici degli USA (fra cui l’Italia) erano dopotutto i maggiori beneficiari del traffico petrolifero, circostanza che, assieme al loro rango sulla scena politico-economica internazionale, non poteva certamente giustificare una loro rinuncia all’assunzione di adeguate responsabilità in un’operazione di polizia internazionale. Mentre in Italia si accendeva sulla questione dell’invio di unità militari nel Golfo un dibattito politico particolarmente aspro, la Marina iniziava a prepararsi per una missione che prevedeva sostanzialmente operazioni di scorta al naviglio mercantile e di bonifica da mine navali, in un teatro operativo ben distante dalla madrepatria; per la prima volta la Forza Armata si trovava di fronte ad un’esigenza che avrebbe richiesto il rischieramento in zona di guerra di un consistente gruppo dì unità navali, oltre all’adozione di adeguate procedure tecnico-tattiche in un ambiente con caratteristiche assolutamente nuove per la Marina Militare.L’attacco dei guardiani della rivoluzione iraniani contro la motonave Jolly Rubino diede il via all’intervento della Marina che, iniziato il 15 settembre 1987 con la partenza del 18° Gruppo Navale dalle basi di Taranto e Augusta, si concluse entro la fine dell’anno successivo con il rientro in Patria delle ultime unità impegnate nelle operazioni di bonifica. Il 18° Gruppo Navale, al comando dell’Ammiraglio Angelo Mariani, era costituito da una forza di protezione e supporto (fregate e unità logistiche) e da una forza contromisure mine (cacciamine), entrambe sotto stretto controllo operativo nazionale. Da questa prima missione, dal risultato ampiamente positivo, fu possibile trarre alcune importanti conclusioni: ne risultava in primo luogo confermata la bontà delle scelte a suo tempo operate per l’ammodernamento della flotta, il cui nucleo principale era ormai composto da unità in grado di operare a lunga distanza dalle basi con un minimo supporto logistico. Un’ulteriore conferma riguardava la validità delle soluzioni adottate per la creazione di un’efficiente e moderna componente di contromisure mine, mentre era ormai evidente l’improrogabile necessità di un terzo rifornitore di squadra. Vanno ricordati due altri importanti fattori: il primo riguarda il tipo di missione svolto dalle navi italiane, impegnate nella scorta diretta del naviglio mercantile (a differenza di altre Marine che adottarono il sistema di convogliamento del traffico) e quindi sottoposte ad un logorio superiore. Il secondo punto riguarda la mancanza di un coordinamento tattico fra i vari contingenti navali europei impegnati in zona, frutto di una mancata percezione, soprattutto in sede UEO, del più ampio significato politico i una missione tesa a salvaguardare i legittimi interessi delle nazioni.

UNIIMOG E UNOSGI
Il casus belli tra Iran e Iraq fu l’invasione irachena dell’Iran, avvenuta il 22 settembre 1980 dopo una lunga storia di dispute sul confine, attriti tra i regimi in causa (dittatoriale quello iracheno, teocratico quello iraniano) e tensioni internazionali tra i blocchi delle superpotenze, che appoggiavano le parti avverse convogliando armi e finanziamenti. Dopo i primi, brucianti successi da parte dell’Esercito Iracheno, la guerra si trasformò in un’estenuante guerra di posizione e in un reciproco bagno di sangue. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite richiamò all’ordine più volte entrambi i governi, ma il cessate il fuoco non fu decretato prima del 20 agosto 1988, e lo scambio dei prigionieri di guerra non fu possibile fino al 2003. Il conflitto sconvolse irrimediabilmente gli equilibri nell’area, i cui effetti si fecero sentire pesantemente nell’immediato dopoguerra: due anni dopo l’armistizio, infatti, l’Iraq invase il Kuwait nel tentativo di ottenere un riscatto economico e politico dallo stallo che ne era derivato. Nell’agosto del 1988, a otto anni dallo scoppio delle ostilità e dopo la morte di oltre un milione di uomini e donne, la risoluzione n. 598 delle Nazioni Unite con la sua proposta di cessazione delle ostilità, fu inaspettatamente accettata dai due paesi ormai ridotti in realtà allo stremo e il 9 agosto 1988 il Consiglio di Sicurezza poté votare la creazione dell’UNIIMOG (United Nations Iran-Iraq Military Observer Group), incaricata di sovrintendere al rispetto della tregua. Scopo della Missione era verificare, confermare e supervisionare il cessate il fuoco ed il ritiro delle forze irachene ed iraniane dalla linea di contatto fino ai confini internazionalmente riconosciuti fra i due paesi. La Missione ebbe termine nel febbraio 1991. È stata composta, oltre che dall’Italia, da Osservatori Militari provenienti dall’Argentina, Austria, Australia, Bangladesh, Canada, Danimarca, Finlandia, Ghana, Ungheria, India, Indonesia, Irlanda, Kenya, Malaysia, Nuova Zelanda, Nigeria, Norvegia, Perù, Polonia, Senegal, Svezia, Turchia, Uruguay, Jugoslavia e Zambia. Al termine del mandato di UNIIMOG, il 28 febbraio 1991, si insediava a Teheran il Comando della nuova missione voluta dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU: la Missione UNOSGI (United Nations Office of the Secretary General in Iran). Composta da 120 Funzionari delle Nazioni Unite con l’incarico di Osservatori Civili, si avvaleva di tre Consulenti Militari, uno dei quali era italiano, il suo compito era lo stesso di quella precedente, vale a dire supervisionare il cessate il fuoco tra l’Iran e l’Iraq. Ha avuto termine nel dicembre 1992.
OPERAZIONE GOLFO 2
Quando l’assetto geopolitico mondiale sembrava ormai indirizzato verso una fase di relativa stabilità su un più basso livello di confronto, l’invasione irachena del Kuwait del 2 agosto 1990 riportò nuovamente alla ribalta una regione in cui era da poco cessato il lungo e sanguinoso conflitto fra Iran ed Iraq. In aderenza alle risoluzioni dell’ONU, il Governo Italiano decise l’invio nel Golfo Persico di un Gruppo Navale con il compito di verificare l’applicazione dell’embargo contro l’Iraq, operando in stretto coordinamento con i contingenti navali schierati nella regione dagli altri Paesi dell’Unione Europea Occidentale e della Coalizione. Toccava così ancora una volta alla Marina l’onere di una missione oltremare che, seppur simile come scenario geografico a quella conclusasi da appena 18 mesi, se ne discostava sostanzialmente sotto il profilo operativo. L’incarico fu assolto con la costituzione del 20° Gruppo Navale (tre fregate ed un rifornitore di squadra), le cui prime unità giunsero nel Golfo all’inizio di settembre. Dopo il passaggio da Desert Shield a Desert Storm (cioè dalla fase di contenimento della minaccia e preparazione delle forze a quella di confronto militare aperto, iniziata il 17 gennaio 1991), l’attività della Marina Militare venne principalmente rivolta all’interdizione aeronavale in concorso con le altre forze della Coalizione, spostando la propria zona d’intervento dalla parte meridionale del Golfo a quella centro-settentrionale. Dopo l’avvicendamento delle prime unità (fra le quali Orsa e Stromboli, impegnate, sulla via del ritorno, nell’evacuazione dalla Somalia di connazionali e cittadini di altri paesi europei), le navi italiane vennero inserite nel dispositivo di schermo alle portaerei dell’US Navy e nella scorta ai gruppi logistici e di rifornimento. Sulla base delle esperienze maturate con la prima missione nella regione, in occasione di Golfo 2 la cooperazione con le altre forze navali è stata caratterizzata da un ottimo rendimento, dovuto anche alla presenza di un coordinamento politico-militare in sede UEO (durante la fase di embargo) accanto a quello puramente tattico operato dal comandante in capo delle forze navali statunitensi dopo l’apertura delle ostilità. Una volta concluse le operazioni belliche, l’attività del 20° Gruppo Navale è stata rivolta alla bonifica dalle mine navali delle aree marittime prospicienti il Kuwait. Questa missione, che ha avuto termine nel luglio 1991, ha visto impegnati tre Cacciamine Classe Lerici e la Nave Appoggio Tremiti, con il coordinamento generale affidato alla Fregata Maestrale. Una valutazione generale della Missione Golfo 2 non può non evidenziare il notevole sforzo sostenuto dalla Marina in termini di disponibilità, efficienza e prontezza reattiva, in un quadro globale che oltre alla ridislocazione delle Unità nel Golfo ha visto la contemporanea partecipazione ad una serie di missioni mediterranee di rilevanza non secondaria, in quanto volte alla protezione di rotte d’importanza strategica e alla prevenzione di azioni ostili contro i rifornimenti militari diretti verso l’area del conflitto.
REPARTO DI VOLO AUTONOMO AERONAUTICA MILITARE ITALIANA
Il 25 settembre 1990 con un apposito atto ordinativo che sanciva la costituzione del Distaccamento Aeronautica Militare di Al Dhafra (successivamente assumerà la denominazione di Reparto di Volo Autonomo Aeronautica Militare del Golfo), lo Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare dava concreta attuazione alla adesione del governo italiano alle risoluzioni dell’ONU volte a realizzare la liberazione del Kuwait occupato dalle forze irachene. Lo stesso giorno, otto velivoli Tornado del 6°, 36° e 50° Stormo lasciano la Base di Gioia del Colle al termine di una cerimonia durante la quale il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, Generale Stelio Nardini, aveva consegnato la Bandiera di Guerra al Comandante dell’Unità, Colonnello Mario Redditi. I Tornado (diventeranno poi dieci) erano stati in precedenza opportunamente adattati, a tempo di record, presso i reparti di appartenenza ed il Reparto Manutenzione Velivoli di Cameri per renderli idonei all’impiego nel deserto. Destinazione è la Base di Al Dhafra, un Aeroporto Militare negli Emirati Arabi Uniti, prescelto a seguito di un sopralluogo effettuato da un’apposita commissione dell’Aeronautica Militare incaricata di valutare la sede più rispondente in relazione alle esigenze tecnico-operative dell’Unità. Il trasferimento avviene con un volo di 2.500 miglia senza scalo, durante il quale vengono effettuati due rifornimenti in volo da aerocisterne VC 10K della Royal Air Force. Il compito della prima ora è di assicurare il concorso e la protezione diretta ed indiretta al 20° Gruppo navale della Marina Militare, nelle acque del Golfo già dal mese di agosto. L’organico del Reparto, inizialmente costituito da 239 uomini, tra i quali dodici carabinieri dell’Aeronautica Militare per esigenze di vigilanza e polizia militare, verrà successivamente portato a 314 elementi. Il 17 gennaio, con l’inizio delle ostilità, la missione ed i compiti del Reparto di Volo Autonomo Aeronautica Militare nel Golfo vengono aggiornati in relazione alla decisione del Governo, sostenuta dal Parlamento, di autorizzare le Unità nazionali nell’area di crisi a prendere parte, nell’ambito della forza multinazionale, alle operazioni per la liberazione del Kuwait. Per la prima volta, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, velivoli da combattimento dell’Aeronautica Militare sono impiegati in una missione di guerra. Nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 1991, gli otto cacciabombardieri Tornado si levano in volo dalla Base Locusta nella Penisola Arabica, sede del Reparto di Volo Autonomo, per compiere la prima missione disposta dal Comando aereo interalleato dell’Operazione Desert Storm. All’appuntamento per il rifornimento in volo, le condizioni meteorologiche proibitive impediscono al grosso della formazione italiana e ad altri velivoli alleati di portare a compimento la missione ed impongono il loro rientro alla base. L’unico Tornado riuscito nell’impresa prosegue da solo la missione ma, in fase di disimpegno, viene colpito dall’intenso fuoco della contraerea nemica. L’equipaggio, costituito dal Pilota Maggiore Gianmarco Bellini e dal Navigatore Capitano Maurizio Cocciolone, viene catturato da soldati dell’Esercito Iracheno. È l’unica perdita registrata dall’Aeronautica Militare nei 42 giorni di guerra. Una perdita che assume significato emblematico di una partecipazione che, sebbene quantitativamente limitata a fronte della dimensione della macchina bellica allestita dai paesi alleati, qualitativamente è risultata di estrema efficacia per la professionalità e la determinazione del personale dell’Aeronautica Militare chiamato, per la prima volta dopo 46 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale ad esprimere con le armi l’adesione italiana alla risoluzione delle Nazioni Unite a difesa del diritto internazionale violato. I velivoli Tornado hanno effettuato, nel corso dell’Operazione Desert Storm, 226 sortite per complessive 589 ore circa di volo. A tale impegno va aggiunta l’attività svolta dalla cellula di velivoli da ricognizione (384 sortite per 515 ore), operanti in Turchia nel quadro della AMF NATO (ACE Mobile Force NATO), ivi rischierata in vista di un possibile attacco iracheno, oltre a quelli dei velivoli da trasporto (244 missioni per 4156 ore di volo), che hanno assicurato il sostegno alle unità nazionali aeree e navali nonché l’evacuazione di connazionali dalle zone a rischio.
DIATM KUWAIT
Terminate le operazioni per la liberazione del Kuwait da parte delle forze irachene, si presentava il problema della ricostruzione del paese, duramente provato dai bombardamenti. Sul territorio kuwaitiano erano state disseminate un gran numero di mine, che avrebbero dovuto costituire ostacolo all’avanzata della coalizione. Alle mine si aggiungevano un numero imprecisato di granate inesplose. In sostanza si trattava di bonificare tutto il territorio, eliminando anche le centinaia di carcasse di automezzi e mezzi cingolati che erano stati distrutti ed abbandonati dagli iracheni. Dopo aver valutato la richiesta in sede internazionale, il Governo Italiano dette mandato allo Stato Maggiore dell’Esercito di provvedere all’invio di personale specializzato sul posto. Venne costituito una delegazione di sei Ufficiali e sei Sottufficiali esperti, in grado di effettuare la bonifica del territorio e di addestrare allo sminamento il personale kuwaitiano. La Missione DIATM (Delegazione Italiana di Assistenza Tecnico-Militare) inizia il 25 settembre 1990 a Kuwait City, non senza difficoltà: riconoscere mine, individuare trappole esplosive, localizzare ordigni inesplosi di varia specie, operare in condizioni di sicurezza e contestualmente curare l’attività addestrativa, richiedevano coordinamento e capacità professionali ben definite. Il personale italiano è stato sempre all’altezza del compito, ottenendo stima, riconoscimenti e gratitudine da chiunque li ha visti al lavoro. Durante la permanenza, è stato addestrato circa 1/5 dei quadri delle Forze Armate Kuwaitiane e sono state fatte brillare tonnellate di esplosivo senza il minimo incidente. La Missione DIATM terminava ufficialmente nel dicembre 1990.
MISSIONE UNSCOM
L’UNSCOM (United Nation Special Commission) fu costituita, dopo il cessate il fuoco della Guerra del Golfo, con la Risoluzione delle Nazioni Unite n° 687 dell’aprile 1991. Inizialmente il suo scopo era quello di supervisionare la distruzione del programma di armi strategiche irachene, successivamente il suo mandato fu esteso, (con la Risoluzione n° 715 dell’ottobre 1991) e gli fu attribuito l’incarico di costituire un sistema di monitoraggio che assicurasse che il programma di armi strategiche irachene non fosse ricostituito. Il potere dato all’UNSCOM dal Consiglio di Sicurezza non era negoziabile dall’Iraq, contrariamente a tutti gli accordi di controllo degli armamenti internazionali, nei quali un equilibrio tra diritti e doveri è un requisito fondamentale. In questo senso l’esperienza dell’UNSCOM è stata unica. Gli Ispettori in Iraq, grazie al potere loro conferito, avevano la possibilità di ispezionare qualsiasi sito sospetto, sequestrare documenti, fare ogni tipo di foto e interrogare qualsiasi persona. Tale libertà d’azione fu però spesso ostacolata dalla riluttanza a collaborare del personale militare e civile ispezionato. Quando l’UNSCOM iniziò le sue ispezioni nel maggio del 1991, ben poco si sapeva circa il programma di armi biologiche iracheno. Il programma missilistico, nucleare e chimico era ben conosciuto, in particolare l’uso di missili strategici e a caricamento chimico usati durante la Guerra tra Iran e Iraq aveva condotto a una condanna internazionale dell’Iraq. Inoltre la tecnologia per la costruzione di tale armamento (sufficientemente elevata e specifica) rendeva difficilmente occultabili tali programmi di produzione. Al contrario, eccetto che per qualche vaga informazione di intelligence, poco si sapeva sul programma di armamento biologico, dimostrazione ne è il fatto che le fabbriche che attualmente sono riconosciute essere associate con questi programmi, non furono bombardate dalla coalizione. In accordo alla Risoluzione n° 687, all’Iraq fu richiesto di dichiarare tutti i programmi di armamento strategico e fornire tutti i dettagli non solo delle armi prodotte ma anche di tutte le attività ad esse relative, come ricerca e sviluppo, siti di collaudo e strumenti di produzione. Saddam Hussein fornì tali dichiarazioni (sebbene incomplete) per quanto riguarda il settore chimico, missilistico e nucleare ma inizialmente si rifiutò di fornire quella nel settore biologico, affermando che l’Iraq non aveva nessun programma biologico di tipo bellico. Solo dopo forti pressioni da parte del Consiglio di Sicurezza il Governo Iracheno, nel maggio del 1992, fornì all’UNSCOM una dichiarazione finale e completa nella quale si affermava che prima della Guerra del Golfo essa aveva un programma di tipo biologico seppure al solo scopo difensivo, di limitata entità corrispondente solo a pochi laboratori situati a Salman Pak, 40 km a sud di Baghdad. Tale programma era stato abbandonato nell’autunno del 1990 e i laboratori di Salman Pak erano stati distrutti durante i bombardamenti della Guerra del Golfo. Gli obbiettivi dell’attività di controllo erano molto chiari: raccogliere un numero sufficiente di prove che il programma di armi biologiche fosse esistente, in modo da costringere l’Iraq a fare una piena e chiara dichiarazione di tale programma, dell’equipaggiamento posseduto e dello stato dell’arte raggiunto. C’erano forti pressioni da parte di alcuni membri del Consiglio di Sicurezza (in particolare Russia e Francia), i quali dichiaravano che se l’UNSCOM non fosse stata in grado di fornire chiare ed immediate prove dell’esistenza di tale programma, la missione stessa doveva dichiararsi conclusa (con relativa abrogazione delle sanzioni). Data la mancanza di indizi sui siti che potessero essere coinvolti nel programma di armi biologiche, il problema era dove iniziare le attività di controllo. L’UNSCOM sospettava che oltre a Salman Pak anche Al Hakam, 80 km a sud-est di Baghdad nel deserto, fosse un centro biologico per la produzione di tali armi. L’UNSCOM venne a conoscenza di questo centro solo nell’agosto del 1991 e lo ispezionò per la prima volta nel settembre dello stesso anno. Le autorità irachene dichiararono che tale centro era per la produzione di lieviti (proteine a cellula singola) usati come cibo per animali. Molti erano comunque gli elementi che rendevano questo centro sospetto agli occhi dell’UNSCOM: la sua dipendenza funzionale dalla stessa autorità militare che controllava Salman Pak, la sua posizione isolata nel deserto ed il fatto che sembrasse non essere in grado di produrre quantitativi sufficienti di lieviti. Ma questi erano solo sospetti e fino alla fine del 1994 nessuna prova tangibile era stata raccolta. L’unica valutazione dal punto di vista di intelligence era che Al Hakam doveva avere un ruolo nel programma iracheno di armi biologiche. Un indizio importante che l’UNSCOM acquisì attraverso i canali dell’intelligence è che esisteva in Iraq un’agenzia, la Technical and Scientific Materials Importation Division, di importazione di materiali e strumenti biologici legata al centro di Salman Pak. Risultò chiaro che l’UNSCOM avesse bisogno di molte più informazioni, e a questo scopo si svilupparono due modi per acquisirle. Uno era quello di richiedere tali informazioni ai canali intelligence dei governi rappresentati nella missione, ma tale tentativo risultò essere un parziale insuccesso in quanto gli Stati Uniti rifiutarono di fornire dati e così pure la Russia che fu l’altro principale partner nella missione. Fortunatamente si ebbe un quasi completo appoggio da parte degli Israeliani che fornirono le liste di materiale biologico importate in Iraq. Si tentò inoltre di acquisire informazioni scrivendo a molti governi, specialmente europei, allo scopo di ottenere le liste delle industrie europee che avevano esportato materiale e strumentazione in Iraq. In particolare l’UNSCOM fece tali richieste a quei paesi europei che gli Israeliani avevano indicato come esportatori dei materiali indagati. Quest’ultimo tentativo risultò essere particolarmente efficace in quanto si riuscì ad identificare le industrie fornitrici del materiale e soprattutto a delineare gli interessi iracheni in campo biologico. Il secondo metodo per acquisire informazioni era invece rivolto all’interno del paese eseguendo una serie di interviste a personale iracheno. Le interviste furono all’inizio ostacolate da parte delle autorità e successivamente (fine 1994) concesse in un periodo di maggiore collaborazione da parte del Governo Iracheno. I risultati di questi colloqui, però, non furono risolutivi anche perché non era facile determinare l’effettivo coinvolgimento delle persone intervistate con il programma biologico iracheno. Le interviste comunque fornirono un dato fondamentale che provò il collegamento tra i siti di Salman e Hakam in quanto risultò che il personale, che precedentemente aveva lavorato nel primo sito, era all’epoca impiegato nel secondo. Inoltre si stabilì che il capo del programma difensivo di Salman aveva lavorato a Muthanna, sito molto noto agli Ispettori UNSCOM come produttore di armi chimiche. Questo stabiliva ulteriormente un chiaro legame tra Muthanna, Salman e infine Hakam. Le oltre 94 interviste condotte nel mese di novembre del 1994 portarono alla luce che anche la Technical and Scientific Materials Importation Division era fortemente collegato ai siti, poiché coinvolto nella fornitura di materiale. Infatti, da successive indagini emerse una fornitura, da parte di imprese straniere, di materiale biologico in quantità eccessive per gli scopi di studio ma sufficienti a sostenere programmi di produzione di armi biologiche. Il passo successivo dell’UNSCOM fu di ispezionare tutti i siti iracheni coinvolti con attività di tipo biologico. Il risultato di tali indagini fu che le attività industriali di questi siti erano di così scarsa entità da non poter giustificare la massiccia importazione di materiale biologico avvenuta attraverso la Technical and Scientific Materials Importation Division nel 1988. Le autorità irachene, chiamate a giustificare l’importazione di una tale quantità di materiale biologico, lo attribuirono alla loro distribuzione presso sei ospedali regionali (per scopi diagnostici) e una parte presso magazzini di stoccaggio. Questa spiegazione fu considerata priva di fondamento da parte degli Ispettori in quanto le quantità di materiale continuavano a risultare eccessive per i fini diagnostici ed inoltre la qualità del materiale ed il suo confezionamento giustificavano impieghi industriali ma non diagnostici (il materiale diagnostico deve presentare più elevate qualità di purezza). Ulteriore conferma a tale tesi venne quando gli Ispettori, nel corso delle loro indagini, reperirono documenti di varia natura sul materiale importato, i quali risultarono palesemente falsificati. Non potendo più negare l’evidenza, alla fine del giugno del 1995, l’Iraq invitò il Capo Esecutivo dell’UNSCOM a venire a Baghdad per un annuncio ufficiale. Il 1° luglio 1995, in una presentazione di circa mezz’ora, alla presenza di alti Ufficiali Iracheni fu dichiarato che in passato l’Iraq aveva un programma di armi biologiche. Tale programma aveva lo scopo di produrre due agenti batterici, l’antrace e la tossina botulinica, per una quantità totale di mezzo milione di litri e che tale quantità era stata prodotta ed immagazzinata ad Hakam. Nonostante questa dichiarazione le autorità irachene negarono che fosse mai stato attivato alcun programma di armamento e dispersione di tali agenti biologici. Praticamente l’Iraq aveva scelto una posizione che rispondesse alle prove raccolte dall’UNSCOM ma che allo stesso tempo mettesse in luce un coinvolgimento marginale nella produzione di armamenti di distruzione di massa. Il 4 agosto 1995, l’Iraq formalizzò le sue dichiarazioni all’UNSCOM fornendo una bozza di completa dichiarazione sul suo passato programma di armi biologiche (come richiesto dalla Risoluzione n° 687); ma allo stesso tempo diede un ultimatum all’UNSCOM: la questione biologica doveva essere risolta entro la fine di agosto altrimenti le conseguenze sarebbero state gravi. Inoltre per sostenere tale ultimatum l’Ambasciatore iracheno alle Nazioni Unite a New York visitò il Capo dell’UNSCOM portandogli un messaggio del Presidente Saddam Hussein. Il Presidente iracheno dichiarava che se non fosse stata risolta la questione degli armamenti biologici, in modo tale da rimuovere le sanzioni contro il suo paese, i rapporti tra l’Iraq e l’UNSCOM sarebbero stati definitivamente interrotti. L’UNSCOM prese la minaccia molto seriamente e cominciò a studiare il piano di evacuazione degli Ispettori da Baghdad. Intanto il gruppo biologico dell’UNSCOM tornò immediatamente a Baghdad per iniziare le attività di verifica della dichiarazione irachena. Mentre il Team si trovava a Baghdad, Hussein Kamel, genero di Saddam Hussein, e capo del programma biologico, disertò in Giordania. In tale periodo le autorità irachene imputarono a Kamel il programma biologico e l’atteggiamento non cooperativo nei confronti dell’UNSCOM, dichiarando che Kamel aveva fondato tale attività all’insaputa delle autorità governative e minacciato i suoi ufficiali di morte se avessero cooperato con gli Ispettori. Per dimostrare la resuscitata collaborazione gli Iracheni fornirono circa 150 casse metalliche appartenenti a Kamel riguardanti il programma, ma solo una conteneva documenti e video-tape sull’argomento biologico. Per facilitare l’attività di verifica e monitoraggio fu creato il Baghdad Monitoring and Verification Centre, un quartier generale che pianificava le missioni dei team ispettivi e garantiva un continuo contatto con la sede centrale dell’UNSCOM a New York. Il Baghdad Monitoring and Verification Centre operava inoltre mantenendo un data base aggiornato dei risultati delle attività e fornendo informazioni vitali all’attività ispettiva, attraverso una sorveglianza aerea condotta con aerei U2 ed elicotteri delle Nazioni Unite (materiale fotografico) e con l’installazione di 22 telecamere a circuito chiuso presso i siti maggiormente sospettati di essere coinvolti nel programma. Nel giugno 1996 proprio uno dei siti maggiormente indagati, Hakam fu distrutto dall’UNSCOM minando tutti gli edifici del sito e successivamente sotterrando tutto il materiale e la strumentazione biologica residua. Nella seconda metà del 1996 l’attività di verifica subì un periodo di forte stallo in quanto le autorità irachene cominciarono a non avere più un atteggiamento di cooperazione creando ad arte molti ostacoli alle attività di verifica. Nel periodo 1996-1998 furono condotte solo attività di monitoraggio allo scopo almeno di non far ripartire nessun progetto di armamento, ricerca, studio nel settore bellico biologico. Si conclusero inoltre alcune attività di bonifica, come quella del sito di Hakam consistente nel recupero, bonifica e completa distruzione (in fonderia) del materiale sotterrato precedentemente. Intanto i rapporti con il governo di Baghdad si incrinarono definitivamente nel periodo agosto-dicembre 1998 a seguito del quale l’UNSCOM dovette affrontare due evacuazioni d’urgenza alle quali seguirono altrettanti bombardamenti da parte della coalizione. L’ultima evacuazione risale al mese di dicembre del 1998 e coincise anche con la fine non formale della Missione UNSCOM in Iraq.
OPERAZIONE AIRONE 1
In Iraq, alla fine della Guerra del Golfo, nella crisi economica e politica che aveva seguito il conflitto anche a causa delle sanzioni imposte al Governo di Saddam Hussein, molti erano stati i tentativi di insurrezione della minoranza etnica dei Curdi verso il regime iracheno, ma nessuno era andato a buon fine. Grandi masse di profughi migrarono allora verso le zone di confine, la Turchia e l’Iran, dove comunque non godono di particolare benevolenza, in quanto i governi di quei Paesi vedono le minoranze curde come un pericolo latente alla loro sovranità e alla loro stabilità. Altri si rifugiarono sulle alte montagne irachene, iniziando una resistenza armata contro Baghdad e conducendo una vita molto difficile, a causa dell'asprezza del clima e delle condizioni proibitive per l’approvvigionamento di cibo e vestiario. È ben noto che nell'ambito dell’etnia curda sono molti i conflitti che non permettono una unità di intenti tale da ottenere, all’interno e sulla scena internazionale, seri riconoscimenti della loro identità e di una autonomia sostanziale di Governo. Il territorio del Kurdistan è diviso fra tre Stati diversi (Turchia, Iran, Iraq) e le correnti politiche si rifanno spesso anche a divisioni geografiche. Il 5 aprile 1991 la Risoluzione n° 688 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite condannò la repressione della popolazione civile irachena, soprattutto quella praticata ai danni della etnia curda, che portava instabilità e metteva a rischio la pace e la sicurezza in quella regione. Intimò all’Iraq di cessare la repressione in atto contro la minoranza curda e di agevolare le azioni umanitarie. Decise anche per l’intervento di una missione umanitaria: una vera missione multinazionale di pace. Il Governo Italiano aderì, decidendo di inviare un contingente composto da unità della Brigata Paracadutisti Folgore e da un Reparto di Sanità Aviotrasportabile della Brigata Alpina Taurinense: una missione nazionale di concorso ad operazioni multinazionali. Ancor prima di formalizzare la partecipazione alla Missione Provide Comfort (Dare Conforto), conosciuta in Italia come Missione Airone, il 21 aprile 1991 l’Aeronautica Militare Italiana e un Nucleo di Aviofornitori della Folgore assicurò un lancio di generi di prima necessità sui territori iracheni dove si erano rifugiati i Curdi. La missione aveva scopi umanitari, per ripristinare normali condizioni di vita in quei territori, assicurando così anche la stabilità e la sicurezza della regione. Si svolgeva a livello multinazionale e aveva le sue basi operative in un Paese terzo, considerato per quella emergenza non completamente sicuro perché anch’esso era ed è coinvolto nel problema curdo: la Turchia, peraltro membro della NATO. Infatti mentre le tendopoli da allestire e le unità ospedaliere erano situate a Zako, in territorio iracheno, l’aeroporto per i movimenti di truppe e materiale era situato a Diyarbakir, in Turchia, e il Centro di Coordinamento Multinazionale era localizzato a Incirlik, sempre in Turchia, sede anche del Comando Italiano della Missione. Il territorio, quindi, sul quale operavano le Forze internazionali era quello della Turchia Meridionale e del Kurdistan iracheno, con la presenza di unità terrestri turche, irachene, iraniane e raggruppamenti di guerriglieri curdi (circa 80.000) nell’Iraq Settentrionale. Agli inizi della Missione erano presenti nella Base di Incirlik, sede del Comando delle Forze Terrestri Italiane: un Reparto di Aviolancio costituito da 35 elementi della Brigata Paracadutisti Folgore; due Sottufficiali e un apparato satellitare dell’11° Battaglione Trasmissioni Leonessa e due G222 dell’Aeronautica Militare. Era inoltre a disposizione la Nave Anfibia San Marco della Marina Militare per il trasporto di materiali e mezzi fra l’Italia e la Turchia. A Zako vi era il Comando delle Forze Operative, costituite da unità della Brigata Folgore e dall’ospedale di campo; negli Aeroporti di Diyarbakir, con possibilità dell’uso di quello di Silopi (ambedue in Turchia), il Comando del Gruppo Squadroni Elicotteristi dell’Aviazione Leggera dell’Esercito. Il 23 aprile 1991 il Comandante del Battaglione Carabinieri Paracadutisti Tuscania informava che il Comando della Brigata Paracadutisti Folgore aveva preavvisato l’impiego di un Ufficiale, tre Sottufficiali, e diciotto Carabinieri per una missione di pace in Iraq a favore del popolo curdo. I Militari dell’Arma avevano, in quel quadro, compiti di polizia militare. Il 3 maggio, sulla Nave da Sbarco della Marina Militare San Marco partiva da Livorno, per il Porto di Mersin, in Turchia, un Contingente di 245 militari della Folgore. Il Contingente Italiano in tutto schierava 170 Ufficiali, 370 Sottufficiali e 950 Soldati, ai quali si aggiunsero otto Ufficiali e tredici Sottufficiali dell’Aeronautica Militare, e otto Infermiere Volontarie della Croce Rossa. Il 16 maggio fu completato lo schieramento in tutte le sue componenti. Nel luglio 1991 iniziò il ritiro della maggior parte dei componenti della Missione, ma, poiché la situazione politica si stava aggravando, le Nazioni Unite decisero di far rimanere in Turchia, a Silopi, 2500 uomini. Per l’Italia si prevedeva il graduale rientro del Contingente entro il 15 luglio. In effetti il 17 luglio la Missione Airone aveva concluso il proprio mandato e i suoi componenti erano rientrati in patria, ad eccezione di 200 uomini, dei Carabinieri Paracadutisti del Tuscania e di unità della Folgore, rimaste per il proseguimento dell’operazione nella costituenda Brigata Internazionale: questa aliquota assunse la denominazione di Airone 2. In totale, per la Missione Airone 1 la partecipazione italiana aveva visto impegnati, considerati gli avvicendamenti, circa 1500 uomini. Il compito di questa missione era quello di assicurare le primarie necessità delle popolazioni curde presenti nell’area di Zako. Compito che si sarebbe appunto concretato nell’allestimento di una tendopoli e di un ospedale da campo e nell’assistenza sanitaria, anche sulle montagne e nei villaggi sperduti, dove la neve tardava a scomparire e non era possibile ai civili giungere all’ospedale con normali mezzi. La missione doveva inoltre rifornire i curdi di generi di conforto e provvedere alle varie esigenze di trasporto, realizzando le condizioni di sicurezza. L’intervento aveva spiccate caratteristiche umanitarie e quindi il comportamento dei militari italiani tenne conto delle finalità precipue della missione. In questo quadro generale il Plotone del Battaglione Tuscania ebbe particolari compiti: non solo prevalenti di polizia militare, in concorso con le altre Forze Multinazionali, ma anche come arma combattente. Doveva infatti esercitare azioni di deterrenza nei confronti delle forze irachene e compiere un’attività di controllo diretto del trattamento delle popolazioni curde sul confine Iraq-Turchia.
OPERAZIONE AIRONE 2
La seconda fase della Missione, nota come Provide Comfort 2, fu realizzata con il pieno accordo del Governo Turco il 18 luglio 1991, su impulso degli Stati Uniti, con la convergenza di tutte le nazioni che avevano partecipato alla prima. La sera del 18 luglio il Ministero degli Affari Esteri Turco informava, con nota verbale, le ambasciate delle Forze operanti nella Missione, e cioè Belgio, Francia, Italia, Olanda, Gran Bretagna e Stati Uniti, che il Governo era d’accordo per l’avvio dell’operazione: l’obbiettivo era quello di impedire il riproporsi di quelle condizioni che avevano generato l’abbandono in massa del Kurdistan da parte delle popolazioni curde. La Turchia, dunque, prevedeva e accoglieva sul suo territorio la presenza di una Forza Internazionale costituita da componenti terrestri ed aeree, sostenute da un gruppo navale che avrebbe operato nel Mediterraneo Orientale per tutta la durata della Missione. In via eccezionale il Governo Turco avrebbe consentito l’uso delle basi di Incirlik e Batman per scopi non inerenti a operazioni della NATO. Avrebbe anche contribuito all’operazione assegnando alle Forze della Coalizione unità turche che sarebbero rimaste sotto il Comando Nazionale. La Turchia chiarì che non sarebbe stata possibile alcuna operazione offensiva verso l’Iraq dal territorio turco, senza l’esplicita approvazione del Governo; così come la tipologia, l’entità e le aree di dislocazione dei contingenti (da stabilirsi d’intesa con lo Stato Maggiore Turco), le direttive concernenti le attività delle Forze Alleate, lo sbarco di veicoli, materiali ed equipaggiamenti trasferiti in Turchia per esigenze dell’operazione necessitavano della preventiva approvazione turca. L’avvio della Operazione Provide Comfort 2 chiudeva definitivamente la Comfort 1, per cui tutte le risorse umane e materiali non designate per le esigenze future dovevano lasciare la Turchia nel più breve tempo possibile. Il Governo Turco si riservava la possibilità di ritirare o modificare i termini dell’accordo in piena autonomia, cioè di ritirare le autorizzazioni date, anche senza preavviso. L’operazione sarebbe terminata il 30 settembre 1991, salvo eventuali estensioni a giudizio del Governo Turco, che comunque non avrebbero ecceduto i 90 giorni. La nota verbale si concludeva con un significante paragrafo: “Niente di quanto sopra concordato dovrà essere interpretato come una deroga da parte del Governo della Turchia ai suoi diritti sovrani, né dovrà comportare oneri finanziari aggiuntivi”"re oneri finanziari aggiuntivi.. Questa seconda missione, sempre con caratteristiche di aiuto umanitario, aveva per scopo principale quello di esercitare una deterrenza nei confronti degli Iracheni, di vigilare sul comportamento delle autorità irachene proprio verso gli Osservatori delle Nazioni Unite e il rispetto della risoluzione che aveva dato origine alla missione multinazionale; doveva inoltre continuare la tutela delle popolazioni curde nella fascia territoriale già prevista. Tali compiti dovevano essere assicurati fino alla fine di settembre, svolti ovviamente in totale coordinamento con le altre forze presenti sul territorio. Anche questa volta il Comando delle Forze Terrestri Italiane si stabilì nella Base Aerea di Incirlik, mentre quello operativo, con la Compagnia Paracadutata di Incursori Col Moschin, un Plotone di Carabinieri Paracadutisti e un Plotone di Servizi, si rischierava nell’area di Silopi. Non fu rinnovato l’accordo tra le Nazioni Unite e la Turchia, dopo il 30 settembre, per indisponibilità del Governo di Ankara. Il 1° ottobre la seconda Provide Comfort terminò e il 9 successivo tutta la componente italiana rientrò in patria. Interessa ricordare un episodio legato a questa vicenda: dopo il ritiro della maggior parte del Contingente Multinazionale nel luglio 1991, vi era stato un accordo tra l’ONU e l’Iraq, che prevedeva l’invio di 500, poi ridotte a 250, Guardie Civili delle Nazioni Unite (United Nations Civil Police), dislocate in quello Stato per sopperire alle necessità di sicurezza delle attività di soccorso. Questo contingente avrebbe dovuto schierarsi nel Kurdistan per presidiare le strutture ONU esistenti, cioè i campi profughi; assicurare la transitabilità degli itinerari del rientro dei profughi curdi dall’Iran e dalla Turchia; scortare i Funzionari ONU nei giri ispettivi che sovente facevano per monitorare il territorio relativamente alla tutela dei diritti umani. Si prevedeva che tale personale non avrebbe avuto lo status di truppe dell’ONU, ma, come detto, di Guardie Civili: una specie di vigilantes in uniforme e armati. Questa operazione dell’ONU non aveva nulla a che vedere con l’Operazione Multinazionale Airone, che era in atto da parte delle Forze Armate Italiane. All’Italia venne richiesta una presenza tra le 30 e le 50 Unità di Polizia. Per quanto riguardava l’Arma, il Comando Generale fece presente che non era possibile impiegare per quella richiesta delle Nazioni Unite personale del Tuscania, in quanto specializzato come arma combattente e utilizzato nella stessa area per altri scopi, ma, nel caso l’esigenza si fosse concretata, avrebbe inviato altro personale con particolari requisiti professionali adatti all’impiego richiesto. L’Arma dunque, nel quadro del soddisfacimento delle esigenze internazionali, aveva aderito all’invito. Rimaneva ovviamente da chiarire lo status giuridico dei Carabinieri e degli altri appartenenti alle Forze Armate che avessero fatto parte del nuovo intervento multinazionale. La missione però non si concretò nel senso previsto.
OPERAZIONE ANTICA BABILONIA
Nel quadro della lotta internazionale al terrorismo, nel marzo 2003, una coalizione guidata dagli USA ha intrapreso l’Operazione Iraqi Freedom in Iraq per il rovesciamento del regime di Saddam Hussein. A seguito della sconfitta della capacità militare irachena, il 1° maggio 2003 è iniziata la fase post conflitto (IV Fase dell’Operazione Iraqi Freedom), che si pone come obiettivo la creazione delle condizioni indispensabili allo sviluppo politico, sociale ed economico dell’Iraq. A questo scopo è stato costituito un comitato, a guida USA, denominato Ufficio per la Ricostruzione e l’Assistenza Umanitaria (ORHA, Office for Reconstruction and Humanitarian Assistance). Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 22 maggio 2003 ha approvato la Risoluzione n. 1483 con la quale sollecita la Comunità Internazionale a contribuire alla stabilità ed alla sicurezza del Paese iracheno. Successivamente veniva costituita la CPA (Coalition Provisional Authority), l’Autorità Provvisoria della Coalizione che, oltre ad assorbire parte delle funzioni del ORHA, aveva il compito di fornire il necessario supporto finalizzato alla creazione di un nuovo Governo iracheno. La CPA cessava il suo incarico il 28 giugno 2004 con il trasferimento dei poteri al Governo ad interim iracheno. Sulla base di quanto dichiarato dal Ministro Franco Frattini durante l’audizione del 15 aprile 2003 al Parlamento della Repubblica, e dell’intervento, alle Commissioni Esteri e Difesa del Senato e della Camera riunite in seduta congiunta, del Ministro della Difesa, Onorevole Antonio Martino, il 14 maggio 2003, viene messo a punto un piano operativo di emergenza, da una Task Force interministeriale appositamente costituita e coordinata dal Ministero Affari Esteri, con l’apporto della Difesa e di altri Ministeri. Il 16 ottobre 2003, il Consiglio di Sicurezza ha approvato all’unanimità una risoluzione (1511 del 16 ottobre 2003 sull’Iraq) che getta le basi per una partecipazione internazionale e delle Nazioni Unite alla ricostruzione politica ed economica dell’Iraq e al mantenimento della sicurezza. Tale risoluzione, adottata ai sensi del Capitolo VII dello Statuto delle Nazioni Unite, si concentra su tre aree principali: la leadership irachena e il passaggio dei poteri dall’Autorità Provvisoria della Coalizione al popolo iracheno; il mantenimento di condizioni di sicurezza a opera di una forza multinazionale sotto comando unificato; la partecipazione internazionale e delle Nazioni Unite al finanziamento dei progetti di ricostruzione e di ripresa. Essa contempla tra l’altro che “il conseguimento della sicurezza e della stabilità è fondamentale per riuscire a portare a termine con successo il processo politico” e per permettere alle Nazioni Unite di lavorare nel Paese, la risoluzione autorizza una “forza multinazionale sotto comando unificato a prendere tutti i provvedimenti necessari per contribuire al mantenimento della sicurezza e della stabilità in Iraq”. La risoluzione dispone, altresì, che l’Autorità Provvisoria della Coalizione “restituisca, prima possibile, le responsabilità e l’autorità di Governo alla popolazione dell’Iraq” e chiede all’Autorità, al Consiglio di Governo iracheno e al Segretario Generale delle Nazioni Unite di tenere informato il Consiglio di Sicurezza sui progressi compiuti. Il 1° marzo 2004 il Consiglio di Governo Iracheno approva la Legge Amministrativa Transitoria, che stabilisce alcuni principi fondamentali che dovranno guidare il processo costituzionale in Iraq. Il documento è stato firmato il giorno 8 marzo successivo. Il 1° giugno 2004 si insedia a Baghdad il nuovo Governo Interinale iracheno. L’8 giugno 2004 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approva all’unanimità la Risoluzione 1546. Il 28 giugno 2004 ha luogo a Baghdad il passaggio di poteri tra la Coalizione ed il nuovo Governo Interinale iracheno. Il 23 novembre 2004 si svolge a Sharm El Sheik (Egitto) la Conferenza Internazionale sull’Iraq. Il 30 gennaio 2005 si svolgono le elezioni per l’Assemblea Nazionale Transitoria irachena. Il 16 marzo 2005 si riunisce per la prima volta l’Assemblea Nazionale Transitoria irachena. Il 15 dicembre 2005 si sono svolte le elezioni parlamentari. Il piano operativo di emergenza, messo a punto dalla Task Force coordinata dal Ministero Affari Esteri, con l’apporto della Difesa e di altri Ministeri, intende rispondere a esigenze e bisogni della popolazione irachena assicurando gli aiuti umanitari necessari e la realizzazione delle opere urgenti di ripristino della funzionalità di infrastrutture e servizi. La Missione assegnata al Contingente Militare, secondo quando recita l’Art. 1 della legge 1° agosto 2003, è quella di concorrere, con gli altri Paesi della coalizione, a garantire quella cornice di sicurezza essenziale per un aiuto effettivo e serio al popolo iracheno e contribuire con capacità specifiche alle attività d’intervento più urgente nel ripristino delle infrastrutture e dei servizi essenziali. L’operazione militare è stata denominata Antica Babilonia (nel quadro più generale della IV fase dell’Operazione Iraq Freedom). Per assolvere tale missione, alla componente terrestre è stato assegnato un settore (Provincia di Dhi Qar), nell’ambito della MNDSE a guida britannica. Dopo il 30 giugno 2004, con l’assunzione della piena responsabilità da parte irachena, la missione del Contingente Militare Italiano è rimasta sostanzialmente invariata e l’attività del Contingente ha, peraltro, acquisito spiccata connotazione di concorso alle autorità locali. La missione del Contingente è di garantire la cornice di sicurezza essenziale per consentire l’arrivo degli aiuti e di contribuire con capacità specifiche alle attività di intervento più urgente nel ripristino delle infrastrutture e dei servizi essenziali. In tale quadro i compiti del contingente militare nazionale sono i seguenti: ricostruzione del comparto sicurezza iracheno attraverso l’assistenza per l’addestramento e l’equipaggiamento delle forze, a livello centrale e locale, sia nel contesto della NATO che sul piano bilaterale (a livello centrale, partecipano alle attività dell’Office of Security Transition ed al team di addestratori nel quadro della NATO Training Mission Iraq; a livello locale operano per la riforma del settore sicurezza, nonché allo sviluppo del sistema giudiziario e carcerario nella provincia di Dhi Qar. A tale fine è impegnato sia personale dell’Esercito dedicato alla Guardia Nazionale irachena sia personale dell’Arma per addestrare il Servizio di Polizia; sul piano bilaterale sono in corso attività di formazione ed addestramento di personale militare in Italia con la frequenza, presso il CASD, di corsi per Senior staff Officer; creazione e mantenimento della necessaria cornice di sicurezza); concorso al ripristino di infrastrutture pubbliche ed alla riattivazione dei servizi essenziali; rilevazioni NBC (radiologiche, biologiche e chimiche); concorso all’ordine pubblico; polizia militare; concorso alla gestione aeroportuale; concorso alle attività di bonifica, con l’impiego anche della componente cinofila; sostegno alle attività dell’ORHA; controllo del territorio e contrasto alla criminalità. Si tratta di operazioni di profilo essenzialmente protettivo e di sicurezza, condotte con attività di ricognizione e sorveglianza, di protezione e sicurezza, di stabilizzazione ed assistenza. La presenza delle forze sul terreno sarà quanto più discreta possibile. Le necessarie capacità di intervento e di risposta immediata a possibili situazioni di pericolo saranno guidate dalla funzione intelligence e basate sull’alta mobilità, sulla flessibilità e la dinamicità del Contingente, sugli assetti elicotteristici. Inoltre, nell’espletamento del concorso al ripristino di infrastrutture pubbliche ed alla riattivazione dei servizi essenziali ci sono attività umanitarie, distribuzione di aiuti umanitari e attività CIMIC (Cooperazione Civile-Militare) in funzione anche delle esigenze emerse nel corso di incontri con le locali autorità religiose e con i rappresentanti politici delle diverse etnie. Le attività sono svolte in favore della popolazione attraverso la realizzazione di progetti inerenti il miglioramento della qualità della vita, l’educazione scolastica, la medicina preventiva e la sanità in generale, a tutela soprattutto dei gruppi sociali più deboli: infanzia abbandonata, bambini in età scolare, invalidi e portatori di handicap, zone rurali prive di qualsiasi sostegno. L’altro settore di interesse è il ripristino di servizi essenziali: ricostruzione di scuole, riparazione e manutenzione di acquedotti e fognature, ripristino di centrali elettriche e rifornimento di combustibili per le stesse, ripristino di tribunali e di strutture carcerarie, lavori di pulizia nelle città e nei villaggi, ecc. I lavori vengono svolti con il concorso di personale iracheno, la cui assunzione è concordata con i City Council locali. Ulteriori attività riguardano la razionalizzazione e la riorganizzazione nel settore petrolchimico, l’erogazione di energia elettrica, l’irrigazione, il supporto ai settori dell'istruzione e della sanità, mentre è allo studio un progetto di lungo termine per lo smaltimento dei rifiuti e la manutenzione della rete stradale. Viene, inoltre, fornita collaborazione alle organizzazioni umanitarie. Tale ambito ha riguardato anche il supporto in favore del rientro di profughi dall’Arabia Saudita. Tali attività, che, anche attraverso la creazione di posti di lavoro, sono di supporto al processo di ricostruzione del tessuto sociale, economico e politico del Paese, sono finanziate tramite i fondi CERP (Commanders Emergency Response Programme). Sul piano militare, è stato costituito un Comando di Teatro di livello Corpo d’Armata con sede a Baghdad (denominato Combined Joint Task Force 7), articolato su due Divisioni Multinazionali a guida USA (operanti rispettivamente nelle aree nord e nord-ovest del Paese), una Divisione Multinazionale a guida della Polonia (nella parte centro-meridionale del Paese) ed una Divisione Multinazionale nella parte sud-orientale a guida del Regno Unito. A seguito del processo di normalizzazione del Paese per il trasferimento dei poteri ad un Governo iracheno, il Comando Americano è stato riconfigurato su: un Comando Multinazionale delle Forze in Iraq che assolve le funzioni di Comando operativo, all’interno del quale il Generale di Brigata italiano Pierpaolo Lunelli ricopre l’incarico di Chief Coalition Operations; un Comando Multinazionale delle Forze Terrestri in Iraq che assolve le funzioni di Comando tattico, il cui Vice Comandante è il Generale di Divisione Alessandro Montuori, il quale assolve, dal punto di vista nazionale, altresì l’incarico di Italian Senior National Representative (Rappresentante Nazionale Italiano più alto in Grado) per l’intero teatro di operazione dell’Iraq. Al contingente militare nazionale è stato assegnato un settore di responsabilità nella regione meridionale dell’Iraq coincidente con la provincia irachena di Dhi Qar che ha come capoluogo Nassirya.
NATO TRAINING MISSIONE IRAQ
Nel quadro della Global War On Terrorism, una Coalizione multinazionale ha dato avvio nel mese di marzo 2003 all’Operazione Iraqi Freedom in Iraq. A seguito della sconfitta della capacità militare irachena, il 1° maggio 2003 è iniziata la fase post conflitto, che si è posta come obiettivo la creazione delle condizioni indispensabili allo sviluppo politico, sociale ed economico dell’Iraq. Con la risoluzione 1546 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha restituito, a partire dalla fine di giugno 2004, la sovranità nazionale al popolo iracheno e, su richiesta del Governo provvisorio, ha rinnovato l’autorizzazione alla presenza di una Forza Multinazionale. Nell’ambito dell’attività di ricostruzione dell’Iraq, un aspetto qualificante intervenuto a seguito del citato passaggio di poteri, ha riguardato il sostegno concreto alla ricostruzione dell’intero comparto sicurezza iracheno, sia a livello centrale sia a livello locale. A livello centrale, infatti, è stato costituito il Multi National Security Transition Command, al quale hanno contribuito i principali Paesi della Coalizione. Al vertice di Istanbul del giugno 2004, i Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri della NATO hanno offerto al Governo Provvisorio Iracheno l’assistenza dell’Alleanza per l’addestramento delle Forze di Sicurezza, a complemento di quanto già sta facendo la Coalizione attraverso la Multinational Force Iraq attraverso il Multi National Security Transition Command, schierando il 14 agosto 2004 la NATO Training Mission Iraq. La NATO Training Mission Iraq ha visto la partecipazione di diciannove Nazioni; il quartier generale della missione è stato situato nella International Zone a Baghdad presso il Cultural Centre Compound, mentre un Forward Headquarter è stato stabilito ad Ar Rustamiyah (20 Km circa a sud-est di Baghdad) per il supporto alla costituzione del Joint Staff College e dell0Accademia Militare. La missione NATO Training Mission Iraq ha previsto le seguenti quattro fasi:
§ la prima fase, prevedeva la valutazione e preparazione della missione;
§ la seconda fase, caratterizzata da un approccio graduato da parte della NATO, è stata determinata dall’andamento delle esigenze rappresentate dal Governo Iracheno e dalla contestuale disponibilità delle risorse NATO;
§ la terza fase ha previstola transizione delle predette responsabilità formative e addestrative alle competenti Autorità irachene, riducendo gradualmente la presenza NATO;
§ la quarta fase è iniziata quando le predette capacità sono state completamente assunte dalle forze irachene o da altre organizzazioni ed è terminata con il ritiro delle forze NATO dalla NATO Training Mission Iraq.
L’obiettivo della missione è stato, quindi, quello di provvedere, con il Governo Transitorio Iracheno, alla formazione dei Quadri, all’addestramento e ad il supporto tecnico dell’Iraqi Security Force, allo scopo di agevolare l’Iraq nel raggiungimento di una sicurezza efficace, democratica e durevole.L’Italia ha partecipato alla missione con il Deputy Commander della NATO Training Mission Iraq, il Generale di Divisione Ernesto Alviano, e un team impiegato prevalentemente nell’ambito del Joint Staff College, dove si sono svolti i corsi per Senior Staff Officer e per Junior Staff Officer. Dal 30 novembre 2006, ha operato, presso il Ministero della Difesa Iracheno, un Ufficiale della Marina Militare in qualità di Advisor del Comandante delle forze navali irachene. Inoltre, quale ulteriore contributo all’addestramento del personale iracheno fino al 2 febbraio 2007 ha operato a Baghdad un team denominato MALT (Military Advise & Liaison Team) con compiti di affiancamento, tutoring e mentoring del personale dell’Iraqi Base Defense Unit impiegato per la Force Protection del compound di Ar Rustamiyah.
EU JUST LEX
Nel 2005, il ritorno alla democrazia è iniziato con l’organizzazione delle elezioni presidenziali, che hanno consentito agli Iracheni di eleggere liberamente il loro primo Presidente della Repubblica dopo Saddam Hussein, nella persona di Jalal Talabani. Tali elezioni hanno dimostrato la volontà del popolo iracheno di ricostruire il paese su basi democratiche stabili. Il contributo dell’Unione Europea è servito a finanziare un vasto programma di sostegno, che spazia dalle tecnologie dell’informazione all’informazione degli elettori in loco. Esperti europei sono stati inviati a Baghdad per contribuire alle attività del gruppo di assistenza elettorale delle Nazioni Unite. La Commissione ha inoltre organizzato un programma di formazione per 170 osservatori elettorali iracheni. Il ripristino dello Stato di diritto ha richiesto altresì l’elaborazione di una nuova costituzione, fondamento indispensabile per la stabilità di una giovane repubblica democratica e pluriculturale, essenziale tanto a livello politico quanto sotto il profilo giuridico. L’Unione Europea vi ha contribuito a concorrenza di 20 milioni di euro (distribuzione di centinaia di migliaia di poster e opuscoli, divulgazione di messaggi informativi alla radio e alla televisione, pubblicazione di annunci sui giornali, traduzione della costituzione in quattro lingue e diffusione in vari milioni di copie). Tali fondi hanno consentito all’Unione di soddisfare completamente il fabbisogno finanziario delle Nazioni Unite per quanto riguardava la costituzione. Al referendum costituzionale del 25 ottobre 2005, il 78 % dei votanti ha quindi scelto di adottare la nuova costituzione irachena. Nell’ambito del suo intervento a favore della ricostruzione dell’Iraq, l’Unione Europea ha optato altresì per la formazione delle risorse umane indispensabili per il buon funzionamento dello Stato di diritto. Per tale ragione, nel quadro dell’iniziativa EU Just Lex, il Consiglio ha adottato, fin dal primo trimestre del 2005, un’azione comune relativa alla missione integrata dell’Unione Europea sullo Stato di diritto per l’Iraq, EU Just Lex. In seguito all’adozione, il 13 giugno, del piano d’azione di tale missione, il 1o luglio 2005 l’Unione ha avviato l’opera di ricostruzione economica e sociale dell’Iraq attraverso la formazione di giudici, procuratori e poliziotti iracheni. Complessivamente, nel 2005 l’Unione ha speso 80 milioni di euro per il processo politico iracheno. Se la ricostruzione interna dell’Iraq resta l’elemento fondamentale, l’Unione non ha certo trascurato la riflessione sul posto che l’Iraq dovrà occupare nel sistema multilaterale. Il 21 settembre 2005, a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è stata firmata la prima dichiarazione politica comune tra l’Unione e l’Iraq. Si è trattato di un passo decisivo verso un partenariato più stretto tra le due parti, che ha spianato la via a un accordo di cooperazione riguardante numerosissime questioni commerciali e di sviluppo. Inoltre, in tutto il 2006, sono state create le prime vere istituzioni trasparenti e responsabili quali un parlamento e istituzioni finanziarie affidabili. A questo riguardo, il Consiglio Europeo, nel dicembre 2006, ha espresso la propria soddisfazione per lo svolgimento delle elezioni generali del 15 dicembre e ha auspicato la rapida formazione di un nuovo Governo che ha consentito di adoperarsi in maniera efficace e pacifica per la riconciliazione del popolo iracheno. L’EU Just Lex ha così risposto ai bisogni urgenti del sistema criminale iracheno e del Ministero della Giustizia, fornendo l’addestramento per funzionari e magistrati dell’amministrazione giudiziaria e nella ricerca giuridica. Questo addestramento ha contribuito a migliorare la funzionalità, la coordinazione e la collaborazione delle diverse componenti del sistema criminale iracheno. Le attività di formazione del personale sono avvenute sul suolo degli Stati Membri dell’Unione Europea; solo in un secondo momento, in base anche agli sviluppi in termini di sicurezza e sulla disponibilità di infrastrutture adatte, il Consiglio Europeo ha deciso di proseguire l’addestramento a Baghdad, dove l’EU Just Lex ha posto il Quartier Generale del Comando Missione.

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